La storia della Ferrovia di Napoli – 1a parte
La originaria stazione della prima ferrovia Napoli – Portici era ubicata in Via Dei Fossi, l’attuale Corso Garibaldi, nei pressi dell’attuale stazione terminale della Circumvesuviana. La collocazione della stazione in prossimità della porta Mercato e di quella Nolana avveniva, quindi, in un’area orientale della città storicamente caratterizzata dalla presenza di paludi ed acquitrini , in cui spesso sono state collocate attività commerciali ed industriali ritenute incompatibili con il centro storico.
Per la particolare natura dei luoghi, la quota stradale risultava sopraelevata rispetto al piano di posa dei binari. Quando la linea ferroviaria fu inaugurata, misurava circa 4, 5 miglia ( 7 chilometri); l’evento, al quale partecipò una gran folla accorsa da tutta la provincia, fu immortalato in un splendido dipinto da Salvatore Fergola ( conservato a San Martino) in cui è possibile osservare anche il grande padiglione eretto presso il Granatello, a Portici, sul ponte della villa del principe di Monteroduni per ospitare il re e la famiglia reale che prese poi posto sul treno per il rientro a Napoli, dove un altro grandioso padiglione era stato eretto per il sindaco e gli eletti.
Con l’apertura in seguito del tronco ferroviario da Torre Annunziata a Nocera per Pompei, Scafati, Angri e Pagani, avvenuta nel maggio del 1844, fu portata a compimento la Ferrovia progettata dal Bayard. Per avere un’idea di come era la stazione Napoli-Portici( oggi, Stazione Baiano, appartenente per metà al Comune e per metà alle Ferrovie ndr), ci viene in aiuto un’incisione di Lucioni ( XVIII sec.) che raffigura nei minimi dettagli l’edificio ispirato ad un sobrio linguaggio neoclassico. Era alto due piani con tre fornici nella zona centrale della facciata, una lunga balconata comprendeva tre dei cinque balconi del piano superiore. Ai lati del fabbricato vi erano due varchi con cancelli e due piccoli fabbricati a un piano. All’interno della stazione, al piano terra, erano ubicati i locali riservati ai passeggeri con sale d’attesa di prima e seconda classe, mentre al primo piano c’erano gli uffici dell’amministrazione e gli alloggi per il personale. La “gente minuta”, alla quale era riservata la terza classe, poteva usufruire di tariffe ridotte, purché – si legge nelle cronache del tempo – si trattasse di “soldati o bassi uffiziali” o fosse in “giacca e coppola”. Il personale addetto indossava uniformi eleganti, sull’esempio di quelle militari: ad esempio, il capostazione aveva un soprabito verde con galloni, pantaloni grigi e copricapo anche esso verde e spadino al fianco. Durante il regno di Ferdinando II non vennero costruite altre ferrovie e non si può certo negare che il sovrano avesse sostenuto l’iniziativa della “ nuova strada” ferrata soprattutto per raggiungere più comodamente la Reggia di Portici. Il popolo usava la ferrovia invece per evadere dalla città e raggiungere le località più amene, non aveva compreso ancora il valore commerciale del mezzo a vapore. Il declino della stazione avvenne agli inizi del XX secolo quando l’edificio fu incluso nel complesso del Dopolavoro ferroviario ed alcuni ambienti destinati ad ospitare il mitico Teatro Italia. Negli anni della guerra subì gravissimi danni con lo scoppio della nave da trasporto “Caterina Costa” avvenuto nel porto di Napoli il 28 marzo del 1943, poi nuovi e gravi dissesti si ebbero con il terremoto dell’Ottanta che sconquassò quanto ancora rimaneva in piedi del vecchio fabbricato, che pure resisteva tenacemente. Il rudere, cui ormai l’edificio era ridotto, venne alla meno peggio puntellato ed imbrigliato con putrelle di ferro e da allora, in una continua querelle tra Comune e Ferrovie dello Stato, abbandonato alla inesorabile rovina lasciando solo vagamente intravedere nei suoi resti la testimonianza di quella che è stata un’opera che ha senz’altro anticipato il progresso industriale dell’Italia post unitaria.
Questa stazione rimase in uso fino al 1921 quando venne sostituita dalla nuova stazione di Napoli Centrale che accentrava anche le altre linee fino ad allora facenti capo ad altre stazioni. L’edificio in questione venne allora destinato a officina deposito della Rete Adriatica, società che aveva acquistato dal Bayard l’intera ferrovia. Nel 1930 la struttura venne adibita al Teatro Italia, utilizzato dal Dopolavoro Ferroviario delle Ferrovie dello Stato.
Il 28 marzo 1943 l’esplosione di una motonave nel porto di Napoli causò il crollo di buona parte dell’edificio, salvo un’ala adibita a sede del Dopolavoro Ferroviario fino al terremoto del 1980, anno in cui la proprietà passò al Comune di Napoli. Da allora la struttura giace nel più completo abbandono. Della primitiva stazione resta solo una finestra della facciata ed alcune strutture interne.