Il circuito di Posillipo
La storia della città di Napoli è legata principalmente e indissolubilmente al calcio, ma non è l’unica storia sportiva. Al capoluogo partenopeo, infatti, appartiene una grande tradizione motoristica che ha origine negli anni ’30 del secolo scorso concretizzandosi in una competizione sportiva: il Gran Premio di Napoli.
La manifestazione agonistica nasce nel 1933 (si disputava tra la fine di aprile e gli inizi di maggio) con il nome di Coppa Principessa di Piemonte – Circuito Internazionale di Napoli, in onore di Maria Josè, moglie del Principe di Piemonte Umberto di Savoia; l’impegno del Principe fu particolarmente pregnante,come dimostrato dal fatto che lo stesso ricoprì il ruolo di Presidente del Comitato Generale.
La Coppa Principessa di Piemonte ebbe luogo nel 1933, 1934 (edizione vinta da Tazio Nuvolari alla guida della Maserati 6C 34), 1937, 1938 e 1939.
Al termine del secondo conflitto mondiale le attività agonistiche ripresero solo nel 1948, anno nel quale la gara assunse la denominazione di Gran Premio Napoli – Circuito di Posillipo, dal nome della famosa zona collinare che ospitava il tracciato esteso per poco più di 4 km (stesso tracciato della Coppa Principessa di Piemonte). Le gare continuarono ininterrottamente fino al 1962, anno dello stop definitivo.
L’edizione del 1948, quella della rinascita, fu vinta da Luigi Villoresi che, alla guida di una Osca 1100 percorse i 60 giri del tracciato, pari a 246 km, in 2 ore 32’ 52’’ alla media di 96,574 km/h.
Il programma di gara, fin dagli albori, prevedeva una suddivisione in gruppi delle vetture partecipanti, a seconda della cilindrata; a ciascun gruppo (ad esempio, vetture con cilindrata inferiore o superiore a 1500 cm3) era dedicato un montepremi di entità diversa, sia con riferimento alla classifica di categoria, sia con riferimento al giro più veloce. Potrebbe risultare interessante (e divertente, ndr.) riportare un dato economico relativo all’evento: per la III Coppa Principessa di Piemonte il totale generale dei premi in denaro stanziato dal comitato generale fu pari a Lire 100.000!!!
Sin dagli anni ‘30 il tracciato richiamò folte schiere di piloti anche in ragione dell’avvicendarsi di vetture di categorie diverse quali sport prototipi, formula 2 e formula 1; queste ultime presero parte alla manifestazione dal 1954, benché il Gran Premio di Napoli non valesse ai fini della classifica per il titolo mondiale.
Al circuito di Posillipo sono legati piloti del panorama automobilistico mondiale; oltre ai già citati Nuvolari e Villoresi, presero parte alle gare, ed alcuni a più riprese, Alberto Ascari (vincitore nel 1951 e nel 1955), Giuseppe Emilio Farina detto “Nino” (vincitore nel 1937 nella classe oltre 1500 cm3, e poi nel 1952 e nel 1953), Luigi Musso (vincitore nel 1954); all’edizione del 1959 si registrò la partecipazione di Alejandro de Tomaso (nel programma di gara è riportato con il nome di “Alessandro”, ndr), e chissà se a quei tempi, alla guida di una osca 1500 con il numero 134, già avesse idea di ciò che il suo cognome avrebbe rappresentato nel mondo dell’automobile, e non solo.
Ferrari, Maserati, Alfa Romeo, Bugatti, Osca, Stanguellini, sono solo alcune delle auto alla partenza delle varie edizioni.
Ferrari, Ferrari e ancora Ferrari le vetture che occuparono il podio della XIV edizione del 1957 con, nell’ordine, Peter Collins, Mike Hawthorn, e Luigi Musso.
Non era difficile a quei tempi passeggiare lungo i “box” (se così potevano chiamarsi, ndr.) e fotografare ad un palmo Collins e Hawthorn (Mike Hawthorn fu il primo inglese campione del mondo di F1 e pilota dall’ abbigliamento impeccabile che era solito schierarsi alla partenza con al collo il papillon), oppure incrociare Luigi Bellucci con il volto ancora sporco dei fumi di scarico dell’auto che lo precedeva: ecco la vera vita di stile ed i suoi uomini.
Molte persone hanno nostalgia di quella atmosfera (me compreso, ndr.), anche se non l’hanno vissuta. Ammirare il meccanico intento a “mazzolare” i gallettoni al mozzo per il cambio gomme, piuttosto che assistere al rifornimento vecchio stile con tanto di imbuto e tanica era estremamente romantico; la gara “si viveva”, lo spettatore di ieri era molto più attento (di quello attuale) ad ogni passaggio al traguardo, perché non poteva contare su una telemetria d’avanguardia né su numerose informazioni in tempo reale da ogni parte del circuito. Il passaggio dei piloti era atteso con trepidazione e, forse, anche con sorpresa: la competizione era avvincente anche per questo.
Per ovvie ragioni anagrafiche non ho seguito il Gran Premio di Napoli, né ho mai partecipato, purtroppo, alle sue rievocazioni (ormai giunte, con quest’anno, alla diciottesima), ma questo circuito mi è familiare grazie ai racconti e alle testimonianze (anche fotografiche) di chi a quelle gare ha assistito emozionandosi: mio nonno.
Il circuito cittadino di Napoli, quello di Roma e quello di Pescara, solo per citarne alcuni, avevano il merito di trasmettere con immediatezza, senza filtri di sorta, la passione irrazionale per l’automobilismo; un automobilismo fatto di balle di fieno ai limiti del tracciato, di protezioni inesistenti per piloti e pubblico, un automobilismo che ha dato tanto ma che, purtroppo, ha tolto tante vite.